Storia

GIORGIO CASTRIOTA SKANDERBEG (1405-1468)

 

G. C. SkanderbegTra la fine del XIV e gli inizi del XV secolo in Albania imperversava la dominazione ottomana. Angherie, soprusi e ogni altra vessazione opprimevano le genti albanesi. Pochi signori opponevano eroica quanto estrema resistenza, tra questi Giovanni Castriota signore di Kruja. Dopo la sconfitta di Casovia per poterne mantenere la signoria, Giovanni Castriota, dovette cedere i suoi quattro figli maschi, Stanisha, Reposhi, Costantino e Giorgio, in ostaggio al sultano Murad II.
Alla corte di Adrianopoli, Giorgio Castriota si distinse, ben presto, per capacità ed intelligenza, divenne esperto nell’uso delle armi ed in strategia militare tanto da guadagnarsi la stima e la fiducia del sultano e l’appellativo di Iskënder (=Alessandro) Bej (=signore) forse riferendosi ad Alessandro Magno.
Nel 1442 con la morte di Giovanni Castriota, Kruja anziché passare ad uno dei suoi quattro figli passò nelle mani di un governatore musulmano. L’anno successivo Skanderbeg, chiamato dal Sultano a combattere contro la Lega Cristiana promossa da papa Eugenio IV, disattese gli ordini, anzi avendo potuto constatare la triste situazione economica e politica delle sue genti, ne abbracciò la causa. Lo stesso anno l’esercito della Lega Cristiana ottenne a Nis la vittoria sui Turchi e Skanderbeg, con un abile stratagemma, si fece consegnare la roccaforte di Kruja.
Ebbe cosi inizio l’epopea di Skanderbeg, l’eroe che per ben venticinque anni combatté contro i turchi.
Il mito di Skanderbeg si diffuse, infatti, rapidamente in tutta Europa, il suo ritorno alla fede cristiana le sue continue vittorie sui turchi, gli valsero l’appoggio del papato, dei re di Napoli e della stessa Venezia, dopo un iniziale dissidio, oltre che, il titolo di “soldato della cristianità”. Ma gli avvenimenti continuarono ad avvicendarsi inesorabilmente, nel 1451 Maometto II successe al padre, nel 1453 Costantinopoli cadde nelle mani dei turchi. La situazione diveniva sempre più insostenibile, nel 1459 Skanderbeg bisognoso di aiuto sbarcò in Italia per soccorrere il re di Napoli Ferdinando I in guerra contro Giovanni D’Angio, pretendente al trono. Rientrato in Albania dovette nuovamente fronteggiare l’esercito turco, Maometto II non desisteva, anzi, pose sotto assedio Kruja. Nel 1466, mentre Kruja era stretta da un tremendo assedio, Skanderbeg si recò nuovamente in Italia, prima a Roma poi a Napoli, a chiedere aiuti. Rientrato in patria dovette limitarsi ad azioni di guerra repentine, vista la schiacciante superiorità numerica del nemico. Nel 1468, dopo aver convocato ancora una volta la Lega di Alessio per organizzare la resistenza, si ammalò improvvisamente di malaria morendo il 17 gennaio dello stesso anno. Kruja cadde nelle mani dei turchi dieci anni dopo.

 

MOBILITÀ TRA LE DUE SPONDE DELL’ADRIATICO

 

Due sponde dell'AdriaticoPrima delle migrazioni vere e proprie avvenute dopo la morte di Skanderbeg (1468) il passaggio di genti dall’Albania all’Italia si era già verificato precedentemente, anzitutto per motivi militari, ma anche, per motivi storico-politici e per evidenti ragioni geografiche. Si trattava di piccoli e sporadici gruppi di Albanesi, per lo più di nuclei familiari originari delle aree limitrofe ai grandi centri portuali di Durazzo, di Dulcigno e di Antivari. Il periodo più intenso per le relazioni tra il regno di Napoli e l’Albania fu, comunque, il decennio del “Regnum Albaniae” di Carlo I tra il 1272 e il 1282. Il re di Napoli, infatti, oltre a provvedere al proprio esercito dislocato in Albania, emanava disposizioni favorevoli agli Albanesi che si trovavano in Puglia, Calabria e Sicilia. I successori di Carlo I riuscirono appena a mantenere i loro ridotti possedimenti in Albania e usarono una politica di favoreggiamento nei riguardi di famiglie notabili albanesi cui accordarono privilegi commerciali per il trasporto di merci nei porti pugliesi.
Quando Durazzo cadde nelle mani di Carlo Topia, molti albanesi partigiani del re di Napoli dovettero prendere la via dell’esilio per sfuggire alle rappresaglie del nuovo signore. Nei decenni successivi, in seguito alle pressioni dei Turchi e alle lotte interne tra i vari capi albanesi, continuarono a susseguirsi esodi in Puglia dove i gruppi di esuli si assimilarono di necessità alle popolazioni locali e si adeguarono ai loro sistemi sociali; alcuni di loro, stimolati dall’innato spirito d’avventura, preferirono prestare servizio come mercenari nelle guerre che si combattevano nel Regno di Napoli tra il XIV e il XV secolo.
Anche in Sicilia, dopo la guerra dei Vespri (1282) passata alle dipendenze de re d’Aragona, gruppi d’avventurieri albanesi erano giunti ai tempi di re Martino II e Martino III il Giovane re d’Aragona e di Sicilia.
Tutte queste infiltrazioni di emigrati albanesi in Italia Meridionale servirono da richiamo per i connazionali quando la situazione, sia in Albania che in Grecia, divenne drammatica a seguito della dilagante conquista turca. Le popolazioni albanesi, infatti, trasmigrarono in grandi masse nel Regno di Napoli, soprattutto, dopo la morte di Skanderbeg allorché la Lega Albanese, tenuta insieme solo dalla sua autorità, si dissolse e l’Albania venne a trovarsi in uno stato di totale sfacelo, nonostante i tentativi di difesa operati da alcuni capi come Lek Dukagini alleatosi con Venezia e dalla stessa Venezia.
Il 16 giugno 1478 cadeva l’eroica Kruja e la guarnigione veneto-albanese venne sterminata. Da li a poco anche gli altri possedimenti della Serenissima, in Albania e in Grecia caddero nelle mani dei turchi, infatti, agli inizi del XVI secolo l’Albania diventò, quasi totalmente, una provincia dell’Impero Turco.

Gli studiosi, comunque, sono soliti enumerare sette ondate migratorie:

1. I soldati di Demetrio Reres (1444)
2. I soldati di Skanderbeg in Puglia (1461)
3. Il grande esodo dopo la morte di Skanderbeg (1468)
4. I profughi di Corone ( Morea 1533)
5. I profughi dalla Maina (1647)
6. L’emigrazione di albanesi a Villa Badessa (1744)
7. L’emigrazione di albanesi a Brindisi di Montagna (PZ) 1774)

 

Bibliografia

 

Amilcare Bisignano Ottavio , Il Volo delle Aquile - Storia dell'Albania e degli Albanesi in Italia, "Macrì" Editore, San Demetrio Corone, 2003
Mazziotti Innocenzo Immigrazioni Albanesi in Calabria nel XV sec. e la colonia di San Demetrio C. (1471-1815), Ed. "Il Coscile", Castrovillari, 2004

 

Cenni Storici

 

Vaccarizzo AlbaneseVaccarizzo Albanese fu fondato intorno al 1470, dopo la morte dell’eroe nazionale albanese G. C. Skanderbeg (1468) e l’avanzata turca nella penisola balcanica, da gruppi di profughi che si stanziarono sulle colline della Pre-Sila Greca, fondando tra gli altri anche i casali di San Demetrio Corone, Macchia, San Giorgio Albanese, San Cosmo Albanese, Santa Sofia d’Epiro e Spezzano Albanese.
Nel XVI secolo, il luogo, in cui è situato oggi il paese, faceva parte del feudo dei Principi Sanseverino. Nel XVII secolo il feudo passò nelle mani del Duca di Corigliano e si estendeva dal Cino al Crati dalle colline sopra Vaccarizzo e San Giorgio fino al Mar Jonio.
Il primo insediamento avvenne nel luogo ove oggi sono situati i ruderi della antica Cappella di San Nicola risalente al XIII sec. e poi nel luogo oggi detto “Chiesa Nuova” qui insieme agli abitanti di San Cosmo formarono un unico villaggio. Nel 1509 i due gruppi si separarono dando origine ai casali di Vaccarizzo e di San Cosmo. L’attuale sede sorse attorno alla Chiesa di Santa Maria di Costantinopoli, costruita nel 1669, cosi come le prime case in muratura. Dopo essere vissuti, per tanto tempo, in capanne di frasche, che spesso avevano dato alle fiamme per non essere censiti dai numeratori fiscali, i profughi, infatti, decisero di stabilirsi qui definitivamente. I rigori della feudalità si instaurarono, dunque, a Vaccarizzo da tre diverse Signorie: la Signoria dei Principi Sanseverino di Bisignano, la Signoria della Badia di S. Adriano di San Demetrio, ed infine la Signoria dei Saluzzo-Doria di Corigliano Calabro, sotto la cui giurisdizione toccò a Vaccarizzo passare l’ultimo prolungato periodo di soggezione, fino alla nascita del Comune con l’eversione della feudalità tra la fine del XVIII e l’inizio del XIX secolo.
Nel 1863 al nome Vaccarizzo fu aggiunto la specificazione “Albanese”.

 

Etimo

 

Questo luogo originariamente era denominato “Baccharizzo in Acri”. Secondo alcuni storici perchè luogo di pascolo, compreso nel territorio del Principato di Bisignano, secondo altri, invece, il nome è legato alla presenza delle incursioni dei Saraceni in questi territori. Infatti l’Emiro di Palermo, Al-Qasim, nella primavera del 977, qui fece scannare e spargere per tutto l’accampamento molte vacche. A questo posto rimase il nome di “Monah al Baqar” cioè la posata delle vacche, cosi com’è denominata ancora oggi.

 

Testi a cura di Bina Martino e Silvia Tocci

Sportello linguistico comunale (L.482/99 ann. 2003)

 

Bibliografia

 

Elmo V., Pasquale Scura. Ministro Arbëresh, Marco Editore, Lungro, 1994.

Elmo V., Proprietà e possesso nella società contadina arbëreshe. Genesi trasformazione strutturale dei beni collettivi di Vaccarizzo Albanese, Marco Editore, Lungro, 1997.

Marano G., Insediamenti albanesi nell’Italia meridionale. I centri culturali Albanesi. Partecipazione degli Albanesi al Risorgimento, Ciclostilo, 1989.

 

Raccolta bibliografica

 

Si riporta, per quanti volessero approfondire le proprie conoscenze su Vaccarizzo Albanese, una breve raccolta bibliografica.
raccolta bibliografica.pdf

 

torna all'inizio del contenuto